Paura al pronto soccorso: entra nella sala triage e prende a testate l’infermiere
«Difficile, probabilmente impossibile, prevedere in anticipo cosa scatti nella mente del parente di un paziente che, in questo caso, colto da improvviso malore, è in attesa di una prima diagnosi nell’affollata area di un pronto soccorso di un ospedale italiano. Forse vi sembrerà l’ennesima storia come tante, ve ne abbiamo raccontate in fondo davvero una infinità, ma qualcosa di differente, di ahimè ancora più scabroso, di profondamente illogico e brutale, si è verificato lo scorso 3 luglio nell’area triage del pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore di Lodi. Un uomo ha accanto la sua consorte, sono le 12 di una domenica mattina, la donna lamenta dei dolori, ma non sembra in condizioni da immediato ricovero, sono passati solo pochi minuti dal suo ingresso nel nosocomio. La paziente addirittura sarebbe già stata presa in carico, per le prime visite di rito, ma nel contempo, vista la scarsità di personale, l’infermiere di turno si sta anche occupando di effettuare esami su un altro paziente. E’ qui che scatta la rabbia, la furia cieca dell’uomo, che d’improvviso, colpisce con una ferocia inaudita il malcapitato infermiere addirittura con una testata». Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«A che punto siamo arrivati? Mentre da un lato, amaramente, dobbiamo constatare, che i pronto soccorsi degli ospedali sono diventati una vera e propria giungla, dove non vige alcuna regola, ci chiediamo cosa ci toccherà ancora subire, come professionisti della salute, con questo caos che regna sovrano nel nostro sistema sanitario. Da un lato, ecco un infermiere, che da solo deve occuparsi, a volte, di 7-8, anche 10 pazienti, in reparti di elevata complessità assistenziale, e fa tutto quello che è nelle sue possibilità. Dall’altra, la cronica carenza di personale che allunga, spesso, maledettamente i tempi dei pronti interventi, scatenando l’ira di soggetti che, in preda al panico e alla paura, non trovano altra strada che scatenarsi contro di noi, trasformandoci negli unici responsabili di un eventuale ritardo nelle visite preliminari di un paziente. Ma è lecito chiederci in questo caso: se non fosse stato, in questo caso, per la causale e provvidenziale presenza di alcuni agenti della polizia penitenziaria, intervenuti prontamente dopo la prima aggressione, cosa sarebbe successo al nostro infermiere? Possibile che siano davvero queste le condizioni di totale mancanza di sicurezza nelle quali, ancora oggi, siamo costretti a convivere? E’ allora superfluo chiederci quali siano le ragioni alla base della vera e propria fuga che si registra dai pronto soccorsi degli ospedali italiani da parte degli infermieri: alcuni chiedono di cambiare con urgenza reparto, altri non vogliono più saperne di lavorare nella sanità pubblica e sono disposti a tornare in quella privata. Ai nostri colleghi, alla mercé di aziende sanitarie oggi incapaci di tutelarli, non possiamo che offrire come sempre tutto il nostro supporto, valutando, al loro fianco, se esistono le condizioni per ritenere che le stesse abbiano una responsabilità, anche indiretta, in casi di questo tipo quando, invece, gli operatori sanitari dovrebbero poter contare sulla presenza fissa di presidi delle forze dell’ordine, al momento praticamente inesistenti nei nostri ospedali».