I 60 anni di Michael Jordan
Lo scorso settembre una maglia del numero 23 dei Chicago Bulls, indossata da Michael Jordan in occasione dell’ultimo titolo NBA vinto, nel 1998, è stata battuta da Sotheby’s per 10,1 milioni di dollari.
Basta per spiegare chi è tutt’oggi il ‘mito’ del basket, che venerdì 17 febbraio, compie 60 anni? No, bisogna aggiungere i sei anelli di campione NBA, due ori olimpici (Los Angeles 1984 e Barcellona 1992), un titolo universitario, cinque volte MVP del campionato nord americano e sei delle finali, 14 volte All Star, ‘Rookie’ dell’anno nel 1985, unico giocatore della storia a essere votato nello stessa stagione miglior difensore della lega e miglior giocatore in assoluto.
Uno dei pochissimi ad aver vinto tre ‘anelli’ di fila: 1.099 le partite in cui ha segnato almeno 20 punti ed in cinque ha superato quota 60. E poi il cartone animato a lui dedicato – Space Jam -, le serie tv, quel volo in aria a schiacciare divenuto simbolo (commerciale, certo, ma non solo) immediatamente riconoscibile in tutto il mondo.
MJ amava il canestro e la voglia gli rimase anche dopo l’esclusione dalla squadra in seconda liceo. Per un anno si allenò da solo; a 19anni trascinò North Carolina al titolo universitario con un tiro decisivo a pochi secondi dal termine della finale. A 21 si prese il suo primo oro olimpico, a Los Angeles, mentre due anni dopo, al termine di una partita dei playoff al Boston Garden vinta da Chicago grazie ai 63 punti.
Poi una carriera costellata da 3 anelli e un ritiro poi un ritorno ed altri 6 anelli.
DAL BASKET AL BASEBALL
Il 22 agosto 1993 il padre di Jordan, James, venne assassinato: di ritorno dal funerale di un amico, decise di fermarsi sul bordo di un’autostrada interstatale nella Carolina del Nord per riposarsi. Mentre stava dormendo, due criminali locali si fermarono, lo uccisero e rubarono la sua Lexus, che gli era stata regalata proprio da Michael. Il 6 ottobre 1993, durante una conferenza stampa, Michael comunicò la decisione di lasciare la pallacanestro, decisione presa anche a seguito della morte improvvisa del padre. Dichiarò di non avere più nulla da dimostrare, avendo già raggiunto l’apice della propria carriera.
Il 9 settembre 1994, un anno dopo il suo ritiro, giocò un’ultima volta al Chicago Stadium, prossimo alla demolizione, in una partita di beneficenza organizzata da Scottie Pippen, uno dei compagni di squadra “storici” e grande amico, segnando 52 punti. Nel nuovo impianto, lo United Center, venne tenuta qualche giorno dopo la cerimonia ufficiale d’addio del giocatore, con il ritiro della canotta numero 23.
L’amore del padre appena scomparso per questo sport fu probabilmente la motivazione più forte che spinse Jordan a ritirarsi dalla pallacanestro per dedicarsi alla sua nuova carriera.
Nel febbraio 1994 firmò un contratto da free agent con i Chicago White Sox; il 31 marzo venne assegnato ai Birmingham Barons, terza squadra degli White Sox, impegnata nella Doppia-A della Minor League.
Con i Barons disputò 127 partite e tenne una media battuta di 20,2 con 3 home run, 51 punti battuti a casa, 30 basi rubate (quinto nella Southern League a pari merito) e 11 errori.
Tra il settembre e il novembre 1994, giocò 35 incontri con gli Scottsdale Scorpions nella Arizona Fall League, lega affiliata alla Major League; chiuse con 25,2 di media battuta.
Non soddisfatto dei risultati, Jordan continuò ad allenarsi con i Chicago White Sox fino al 2 marzo 1995, giorno in cui dichiarò conclusa la sua carriera di giocatore di baseball.
IL RITORNO AI BULLS CON LA 45
Nei primi del 1995 cominciò a circolare la notizia secondo cui Jordan avesse intenzione di tornare a vestire la casacca dei Bulls; la ESPN interruppe tutti i programmi per dare la notizia di un suo possibile ritorno. La Nike, sponsor storico di Jordan, inviò 40 paia di scarpe targate Air Jordan ai Bulls. Il 18 marzo 1995 venne diramato un breve comunicato: “Michael Jordan ha informato i Bulls di aver interrotto il suo volontario ritiro di 17 mesi. Esordirà domenica a Indianapolis contro gli Indiana Pacers”. Lo stesso Jordan diramò un brevissimo comunicato stampa, che conteneva poche, ma efficaci parole: “I’m back” (“Sono tornato”). Come ulteriore segno di cambiamento, Michael scelse di usare al posto del numero 23 sulla canotta il 45, numero che aveva quando giocava a baseball da piccolo, e suo reale numero preferito.
THE LAST DANCE
Chicago, Illinois, stagione NBA 1997-1998. I Chicago Bulls sono una squadra entrata nella leggenda: hanno già vinto cinque titoli nei sette anni precedenti e puntano al loro sesto anello. Impresa ardua, ma non impossibile, per una squadra guidata dal numero uno, Michael Jordan e con icone del basket come Dennis Rodman, Scottie Pippen e coach Phil Jackson.
La serie racconta i sei titoli NBA ottenuti dai Chicago Bulls tra il 1991 e il 1998, con un particolare focus sulla stagione 1997-98 (ultimo campionato disputato da Jordan con la franchigia).
Da, mercoledì 15 febbraio 2023, i 10 episodi di The Last Dance sono trasmessi in prima visione televisiva da DMAX, canale 52 del digitale terrestre, a partire dalle 23:15.
The Last Dance racconta l’ultimo miglio di un gruppo di giocatori accomunati dallo stesso sogno: vincere un’ultima volta. Il titolo del documentario è una citazione proprio di coach Jackson che, amando affrontare ogni stagione alla luce di un tema, scrisse “The last dance” sul manuale tattico distribuito a ciascuno dei suoi uomini all’inizio dell’anno che li avrebbe portati a sciogliersi.
Una storia destinata a rimanere negli annali del basket, che parte dall’infanzia del protagonista principale, Michael Jordan, per raccontare tutto l’arco evolutivo dei Chicago Bulls. Un viaggio emozionante nei segreti di una delle squadre più vincenti di tutti i tempi, con immagini inedite girate da una troupe cinematografica della NBA Entertainment.