Vittima delle barbarie del Terzo Reich: ‘i figli hanno diritto ad un risarcimento’

I figli di un uomo rinchiuso nei campi di concentramento, e morto prematuramente dopo la liberazione a causa delle precarie condizioni di salute in seguito alla malnutrizione e alla costrizione ai lavori forzati, hanno diritto a un risarcimento che sarà pagato attraverso il Fondo per il ristoro dei danni subiti dalle vittime del Terzo Reich. Lo ha stabilito la sentenza 2586 del 3 agosto del Tribunale di Trento.

La prima in Italia dopo la promulgazione dell’articolo 43 del decreto legge 36/2022 che ha istituito un fondo presso il ministero dell’Economia e delle Finanze per il ristoro appunto dei danni subiti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità compiuti dal Terzo Reich durante la Seconda guerra mondiale.

Una sentenza storica. “Ho rappresentato e difeso questa famiglia veneta, nello specifico i figli che hanno agito, iure hereditario, per conseguire il risarcimento dei danni subiti dal padre a seguito della cattura, della deportazione e dell’assoggettamento ai lavori forzati in condizioni di assoluta schiavitù a opera delle forze armate del Terzo Reich” ha raccontato, contattata dalla Dire, Maria Cristina Sandrin, noto legale veronese e avvocato della famiglia.

“É stato fatto ricorso ex art. 702 bis c.p.c. dd. 27.10.2022- ha spiegato la Sandrin – in cui si chiedeva di accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2043 c.c. per crimini contro l’umanità, consistiti nella illegittima detenzione, deportazione, assoggettamento in stato di schiavitù e ai lavori forzati del genitore di questa famiglia dal 9 settembre 1943 fino al 29 gennaio 1945 e di condannare la Repubblica Federale Tedesca e il Mef, in solido tra loro o ciascuna per la parte cui spetta, al risarcimento di tutti i danni (patrimoniali e non) subiti dallo stesso, nella misura ritenuta di giustizia in via equitativa”.

A sostegno di tale domanda, “si è esposto che il genitore era stato chiamato alle armi il 29 gennaio 1942 e che il 9 settembre 1943 fu catturato dalle truppe tedesche e internato in Germania– ha continuato l’avvocato- per essere poi rinchiuso in vari campi di concentramento in prossimità del confine con la Polonia e costretto ai lavori forzati fino alla liberazione del campo di prigionia del 29 gennaio 1945 a opera delle Forze Alleate”. 

“Lo stesso era stato costretto a lavorare come contadino e mantenuto in condizioni di sostanziale schiavitù, nonché costretto a usuranti lavori non retribuiti, denutrito e in condizioni igieniche inaccettabili; egli aveva, inoltre, sofferto per anni di quanto visto in quei mesi e in particolare per l’annullamento del decoro suo e degli altri prigionieri resi ‘bestie da servigione e come tali trattati’”.

“Per tale internamento in Germania, lo Stato italiano aveva conferito al genitore la ‘Croce al Merito di Guerra’. Ma le disumane condizioni a cui era stato sottoposto in quel periodo gli avevano causato danni: è riconducibile ad allora infatti un irreversibile aggravamento del suo stato di salute perdurato fino al prematuro decesso”.

La sentenza del Tribunale di Trento riconosce la responsabilità della Repubblica Federale Tedesca “con conseguente condanna al risarcimento a pagare ai ricorrenti una cospicua somma e a rifondere loro anche le spese di lite” ha concluso l’avvocato Sandrin.

(Dire)

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Redazione

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